MA PERCHÉ L’Amelio? Chi era costui?
Vieux Port, Marsiglia |
La scelta di
un nome implica sempre una responsabilità. A maggior ragione quando al nome si
affida il compito di dar voce agli intenti inespressi di una collettività. E
così, nei pomeriggi dedicati agli incontri del Laboratorio Leopardi, un momento
privilegiato per tutti gli appassionati ammiratori del “gobbo di Recanati”, era
emersa ancora timida e indefinita la volontà di creare un terreno su cui
condividere il vivissimo affetto nutrito per Giacomo Leopardi e le sue opere, e
al tempo stesso un luogo che offrisse l’opportunità di sperimentare e
disseppellire tutto quel che anni di università avevano contribuito ad
accumulare come le gioie di un tesoro da bucanieri e che, per un motivo o per
l’altro, non aveva mai trovato la via per affiorare alla luce del sole. C’erano
le buone intenzioni, l’interesse e anche sorprendenti capacità nascoste, ma il
nome, il nome con cui identificarsi e che avrebbe dato l’impronta a tutto il
lavoro futuro, continuava a sfuggire.
Sin da subito
aveva attirato le nostre simpatie la quanto mai sarcastica e provocatoria dicitura
del disegno su un’Enciclopedia delle
cognizioni inutili e delle cose che non si sanno. Una bella sferzata a quel
purtroppo ben radicato luogo comune sull’inutilità delle lettere ed eccellente
falsa satira alla secolare poetica oraziana del miscere utile dulci. Non che Leopardi stesse insinuando che il suo
beniamino Torquato avesse un po’ troppo alzato il gomito con i suoi dolci licor e avesse finito per
annaspare in un mare di ciance e favole. La formula elargisce in realtà a chi
se ne avvale una somma libertà di parola, della serie: «io vi avevo avvisato
che erano cognizioni inutili quindi se le avete lette peggio per voi». Ma è
anche un’affilatissima arma a doppio taglio e per maneggiarla senza pericolo e
non rischiare di tirarsi la zappa sui piedi auto-etichettandosi come inutili
bisognerebbe possedere la stessa verbe
ironica leopardiana: ce ne vuole per far capire il senso profondo nascosto
dietro l’attributo in-utile. Né ovviamente si voleva proporre all’eventuale malcapitato
lettore una voluminosa anti-Encyclopédie. Senza contare l’inopportuna lunghezza
del titolo che mal si addiceva alla forma accattivante e diretta del blog. E
diciamolo, il nostro Giacomino non è certo ricordato per le sue doti di sintesi,
soprattutto in riferimento alla scelta dei titoli possiamo constatare come si
sia compiaciuto più volte nell’evadere le formule brevi (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Paralipomeni alla Batracomiomachia, Proposta di premi fatta dall’Accademia dei
sillografi ecc… solo per menzionare una traccia della sua genialità). Il
fascino però rimaneva, tanto è vero che l’espressione, adeguatamente
modificata, è stata conservata come sottotitolo.
Insomma ma
come si è arrivati ad Amelio? Per una misteriosa e verosimilmente lambiccata
associazione di idee è apparsa, come una teofania in pantofole, la modesta
figurina di questo bizzarro filosofo, che, degno doppelgänger del suo
inventore, se ne stava assorto nella lettura e nello studio chino su tomi voluminosi
e polverosi. Avviene così il nostro incontro col protagonista, spesso
dimenticato, dell’Elogio degli uccelli.
L’Operetta si apre proprio con una quanto mai accurata descrizione della
fenomenologia dello studente distratto con la quale tutti potranno facilmente
identificarsi. Nel vivo delle sue potenzialità sociali, ritroviamo Amelio
dedito a una soporifera lettura en plein
air, forse nel sonnolento tepore del meriggio primaverile e plausibilmente alle prese con qualche mastodontico
trattato neoplatonico o con qualche allietante manuale di pari leggerezza. Poi
all’improvviso, ecco che si manifesta quel momento a noi tutti più che
famigliare: distolta l’attenzione da un particolare esterno, il pensiero
repentinamente si districa dalla serrata logica d’inchiostro del libro e si
libra nell’aria frizzantina del mondo limitrofo, che ricompare con irruenza.
Galeotto per Amelio il cinguettio pacifico degli uccellini di campagna, il cui
canto soave lo costringe a sollevare lo sguardo dalla realtà di carta e lo
rimmerge nelle campagne verdi, nelle vedute aperte e leggiadre, nei soli splendidi, nelle arie cristalline e dolci. E così Amelio,
ammirando lo spettacolo di quelle creature beate, le uniche veramente felici
sulla faccia della Terra, comincia a riflettere, non senza una generosa
manciata di invidia, sulla loro natura e, interrogandosi sulle cause della loro
fortuna, quasi senza accorgersene, quasi in modo del tutto naturale, «lasciato
il leggere; all'ultimo pose mano alla penna, e in quel medesimo luogo scrisse
le cose che seguono», ovvero quel capolavoro che è appunto l’Elogio degli uccelli. Insomma meno di tre righe bastano a Leopardi
per delineare tanto vividamente la personalità del suo alter-ego solitario,
Amelio, che, onorando la sua qualifica di filosofo ha la testa letteralmente
persa fra le nuvole e l’attenzione rivolta interamente ai più volatili degli
esseri a cui è però affidato tutto il senso dell’umana infelicità. Siamo sempre
sotto l’incantesimo della leggerezza apparente che ben esemplifica un tratto
inconfondibile della produzione leopardiana.
Fontaine aux oiseaux, Parc Borély, Marsiglia |
Dovendosi
quindi attribuire un nome - e che fosse breve! -, non solo potevamo agevolmente
immedesimarci nel personaggio di Amelio e nella nonchalance con cui compie il passaggio dalla lettura alla
produzione scritta, come se il gesto rispondesse a un’esigenza naturale troppo
a lungo disattesa. Anche il ruolo giocato nell’Operetta dai bipedi pennuti è
risultato conveniente allo spirito in costruzione di questo giornalino. Chi
legge l’Operetta osserverà come molteplici qualità contribuiscano a creare la
felicità degli uccelli. Innanzitutto il loro canto, proprio quello colpevole,
anzi meritevole, di aver distolto Amelio dallo studio, è paragonato piuttosto
ad un riso. Un riso che indica un approccio ironico ma non cupo alla vita. Il
riso di Leopardi che non tutti conoscono e che speriamo di far risaltare nei
nostri post. Il rapporto privilegiato che gli uccelli intrattengono con il
mondo naturale consente loro una ricchezza unica della vita esteriore quanto
interiore, poiché non solo possono giovare di una costante attività fisica ma,
grazie alla varietà dei siti che esplorano, la loro immaginazione risulta
sempre vivida, al pari dei fanciulli. Il dono del volo conferisce alla loro
prospettiva una visione dall’alto, ampia e profonda ma al tempo stesso libera.
Libere, giocose e fervide d’immaginazione, vogliamo che siano le nostre parole,
alate come gli uccelli di Amelio. Ma liberi, giocosi e fervidi d’immaginazione,
compiendo una metamorfosi degna di Filomela e Procne, vogliamo essere anche noi
che, in questa particolare tappa delle nostre vite ci ritroviamo ad essere un
po’ tutti migranti, da un paese a un altro e da una condizione, quella di
studenti, a un’altra, ancora incognita e inesplorata. Eppure, proprio nella
scrittura e nella lettura di Leopardi ritroviamo le nostre ali e le nostre
radici, riscoprendo perfino nei viaggi più remoti e nei momenti più
inaspettati, tracce ad altri invisibili di lui e di noi.