venerdì 6 gennaio 2017

RUBRICA: La Posta di Giacomo #1


Lettera della Befana alla Signora Marchesa Roberti, scritta a Recanati in occasione dell'Epifania del 1810 [?].

Carissima Signora.

Giacchè mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figliuoli, acciocchè siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest'altro Anno gli porterò un po' di Merda. Veramente io volevo destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l'anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l'anessa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perchè sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr'Anno poi si vedrà di far meglio. Voi poi Signora Carissima avvertite in tutto quest'Anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col Caffè chè già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perchè chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamarà la Conversazione del Pasticcio. Fra tanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finchè non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all'ultimo.

La Befana.

Lettera 2 dell'Epistolario, in G. L., Tutte le poesie, tutte le prose e lo Zibaldone, a cura di Emanuele Trevi e Lucio Felice, Roma, Newton & Compton, 2010.

Scrive Leopardi: DIALOGO DI UN VENDITORE D'ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE

Quale migliore inaugurazione del nuovo anno poteva trovare Amelio se non riportare alla mente dei suoi lettori il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere? Con tutta la beffarda ironia in esso contenuta, ovviamente.


DIALOGO di un  VENDITORE d’ALMANACCHI e di un PASSEGGERE

Dialogo di un Venditore d'almanacchi e di un Passeggere

Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? 
Passeggere: Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore: Si signore.
Passeggere: Credete che sarà felice quest'anno nuovo? 
Venditore: Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere: Come quest'anno passato?
Venditore: Più più assai.

IL TEMPO DEI RACCONTI: Un computer per Leopardi

Fuori dalla finestra, l’ora solare eseguiva ottusamente gli ordini, gettando un’ombra grigio-turchese sulle facciate delle palazzine già alle quattro del pomeriggio.
Ero assorto nella lettura del “pensiero del giardino”, i caratteri minuscoli disposti su due colonne, le pagine finissime e crepitanti di un’edizione integrale che aveva visto due esami, una tesi di laurea e qualche decilitro di pioggia filtrata da un buco nello zaino ai tempi dell’università. Sul tavolo alla mia sinistra, il computer portatile giaceva aperto con lo schermo nero, emettendo il delicato ronzio della modalità stand-by.
Arrivai alla fine del pensiero, cioè all'inizio della pagina 4177 dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, e come al solito quel giardino apparentemente felice ma dominato in realtà dalla violenza e dal male mi ricordò il quadro di Max Ernst, La ninfa Eco, con i suoi mostri, le sue piante velenose e quella luce malaticcia che riassumeva molto bene la tensione del primo Novecento. Nell'atto di stiracchiarmi, premetti con gomito uno dei tasti del PC, che si illuminò rivelando una pagina che avevo salvato sui Preferiti – salvavo praticamente qualsiasi cosa sui Preferiti; la mia lista dei Preferiti era più lunga di quella dei debiti di Paperino.
Si trattava di un articolo dal titolo: «Poesie scritte dai computer. Ora è possibile».
Ero stato indotto da Sabrina a cercarlo. Il venerdì della settimana precedente, alla fine dell’ultima ora di lezione, avevo palesato la minaccia: «La prossima volta iniziamo Leopardi». Il lamentoso mormorio che ne era seguito (complice anche la pessima acustica dell’aula) aveva permesso al recanatese di scalzare Petrarca al secondo posto della speciale classifica degli autori più osteggiati dai miei alunni (il primato lo deteneva saldamente Manzoni). Sabrina Fattorini, che quando scuoteva la testa confondeva i grandi occhi d’ambra con la sua frangetta e quei capelli lisci e ramati, forse ancora non sapeva di possedere lo stesso cognome di Teresa Fattorini, la Silvia dell’omonimo canto leopardiano. Rimettendo nella borsa il libro e l’astuccio dei trucchi, aveva esclamato: «Prof, ma ancora con Leopardi? Ormai le poesie le scrivono i computer!»
Non ero sicuro di aver colto il senso della battuta. Forse voleva fare un paragone tra la penna e la tastiera del PC? Appellarsi a una non meglio identificata “modernità” delle forme o, peggio ancora, dei contenuti? Per il momento ringraziavo il cielo che avesse detto «al computer» e non «al telefono». Poi mi era venuto il dubbio: esistono già computer in grado di scrivere poesie?

IL LABORATORIO LEOPARDI

Se vagolando sfranti e meditabondi al termine di una lunga giornata universitaria, smarrendovi nei labirintici meandri della facoltà di Lettere e Filosofia de La Sapienza, vi imbattete, al terzo piano nel dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali, in un vociare fitto fitto e animato proveniente da una porticina troppo spesso ignorata dalla nostra facoltà, la saletta di Informatica (ebbene sì, esiste una saletta di Informatica nella facoltà di Lettere), non allarmatevi, non fuggite spaventati, non state testimoniando a una cospirazione rivoluzionaria che farebbe invidia alla riunione del Terzo Stato nella sala della Pallacorda, no. Avete semplicemente trovato il Laboratorio Leopardi.
Gli ingredienti che rendono possibile la congregazione di questa curiosa e devota combriccola di “birbanti”, per familiarizzare da subito con il lessico leopardiano, consistono principalmente in un professor D'Intino, una professoressa Bellucci, un Valerio Camarotto, tanti eterogenei e volenterosi collaboratori sparsi qua e là per il globo terrestre, tra cui solo per menzionarne alcuni ricordiamo Stefano Gensini, Camilla Miglio, Roberto Nicolai, Stefano Velotti, Gianluca Cinelli e Martina Piperno, e un fiorente manipolo di giovani leopardisti di bella speranza e di aspettativa meravigliosa, di nuovo parole del nostro Giacomo, alla ricerca della propria via con un bel mammut di Leopardi sottobraccio.