domenica 26 febbraio 2017

Il Filosofo degli uccelli: Amelio Lo Spensierato

MA PERCHÉ L’Amelio? Chi era costui?


Vieux Port, Marsiglia
La scelta di un nome implica sempre una responsabilità. A maggior ragione quando al nome si affida il compito di dar voce agli intenti inespressi di una collettività. E così, nei pomeriggi dedicati agli incontri del Laboratorio Leopardi, un momento privilegiato per tutti gli appassionati ammiratori del “gobbo di Recanati”, era emersa ancora timida e indefinita la volontà di creare un terreno su cui condividere il vivissimo affetto nutrito per Giacomo Leopardi e le sue opere, e al tempo stesso un luogo che offrisse l’opportunità di sperimentare e disseppellire tutto quel che anni di università avevano contribuito ad accumulare come le gioie di un tesoro da bucanieri e che, per un motivo o per l’altro, non aveva mai trovato la via per affiorare alla luce del sole. C’erano le buone intenzioni, l’interesse e anche sorprendenti capacità nascoste, ma il nome, il nome con cui identificarsi e che avrebbe dato l’impronta a tutto il lavoro futuro, continuava a sfuggire.

Sin da subito aveva attirato le nostre simpatie la quanto mai sarcastica e provocatoria dicitura del disegno su un’Enciclopedia delle cognizioni inutili e delle cose che non si sanno. Una bella sferzata a quel purtroppo ben radicato luogo comune sull’inutilità delle lettere ed eccellente falsa satira alla secolare poetica oraziana del miscere utile dulci. Non che Leopardi stesse insinuando che il suo beniamino Torquato avesse un po’ troppo alzato il gomito con i suoi dolci licor e avesse finito per annaspare in un mare di ciance e favole. La formula elargisce in realtà a chi se ne avvale una somma libertà di parola, della serie: «io vi avevo avvisato che erano cognizioni inutili quindi se le avete lette peggio per voi». Ma è anche un’affilatissima arma a doppio taglio e per maneggiarla senza pericolo e non rischiare di tirarsi la zappa sui piedi auto-etichettandosi come inutili bisognerebbe possedere la stessa verbe ironica leopardiana: ce ne vuole per far capire il senso profondo nascosto dietro l’attributo in-utile. Né ovviamente si voleva proporre all’eventuale malcapitato lettore una voluminosa anti-Encyclopédie. Senza contare l’inopportuna lunghezza del titolo che mal si addiceva alla forma accattivante e diretta del blog. E diciamolo, il nostro Giacomino non è certo ricordato per le sue doti di sintesi, soprattutto in riferimento alla scelta dei titoli possiamo constatare come si sia compiaciuto più volte nell’evadere le formule brevi (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Paralipomeni alla Batracomiomachia, Proposta di premi fatta dall’Accademia dei sillografi ecc… solo per menzionare una traccia della sua genialità). Il fascino però rimaneva, tanto è vero che l’espressione, adeguatamente modificata, è stata conservata come sottotitolo.

Insomma ma come si è arrivati ad Amelio? Per una misteriosa e verosimilmente lambiccata associazione di idee è apparsa, come una teofania in pantofole, la modesta figurina di questo bizzarro filosofo, che, degno doppelgänger del suo inventore, se ne stava assorto nella lettura e nello studio chino su tomi voluminosi e polverosi. Avviene così il nostro incontro col protagonista, spesso dimenticato, dell’Elogio degli uccelli. L’Operetta si apre proprio con una quanto mai accurata descrizione della fenomenologia dello studente distratto con la quale tutti potranno facilmente identificarsi. Nel vivo delle sue potenzialità sociali, ritroviamo Amelio dedito a una soporifera lettura en plein air, forse nel sonnolento tepore del meriggio primaverile e plausibilmente alle prese con qualche mastodontico trattato neoplatonico o con qualche allietante manuale di pari leggerezza. Poi all’improvviso, ecco che si manifesta quel momento a noi tutti più che famigliare: distolta l’attenzione da un particolare esterno, il pensiero repentinamente si districa dalla serrata logica d’inchiostro del libro e si libra nell’aria frizzantina del mondo limitrofo, che ricompare con irruenza. Galeotto per Amelio il cinguettio pacifico degli uccellini di campagna, il cui canto soave lo costringe a sollevare lo sguardo dalla realtà di carta e lo rimmerge nelle campagne verdi, nelle vedute aperte e leggiadre, nei soli splendidi, nelle arie cristalline e dolci. E così Amelio, ammirando lo spettacolo di quelle creature beate, le uniche veramente felici sulla faccia della Terra, comincia a riflettere, non senza una generosa manciata di invidia, sulla loro natura e, interrogandosi sulle cause della loro fortuna, quasi senza accorgersene, quasi in modo del tutto naturale, «lasciato il leggere; all'ultimo pose mano alla penna, e in quel medesimo luogo scrisse le cose che seguono», ovvero quel capolavoro che è appunto l’Elogio degli uccelli. Insomma meno di tre righe bastano a Leopardi per delineare tanto vividamente la personalità del suo alter-ego solitario, Amelio, che, onorando la sua qualifica di filosofo ha la testa letteralmente persa fra le nuvole e l’attenzione rivolta interamente ai più volatili degli esseri a cui è però affidato tutto il senso dell’umana infelicità. Siamo sempre sotto l’incantesimo della leggerezza apparente che ben esemplifica un tratto inconfondibile della produzione leopardiana.

Fontaine aux oiseaux, Parc Borély, Marsiglia

Dovendosi quindi attribuire un nome - e che fosse breve! -, non solo potevamo agevolmente immedesimarci nel personaggio di Amelio e nella nonchalance con cui compie il passaggio dalla lettura alla produzione scritta, come se il gesto rispondesse a un’esigenza naturale troppo a lungo disattesa. Anche il ruolo giocato nell’Operetta dai bipedi pennuti è risultato conveniente allo spirito in costruzione di questo giornalino. Chi legge l’Operetta osserverà come molteplici qualità contribuiscano a creare la felicità degli uccelli. Innanzitutto il loro canto, proprio quello colpevole, anzi meritevole, di aver distolto Amelio dallo studio, è paragonato piuttosto ad un riso. Un riso che indica un approccio ironico ma non cupo alla vita. Il riso di Leopardi che non tutti conoscono e che speriamo di far risaltare nei nostri post. Il rapporto privilegiato che gli uccelli intrattengono con il mondo naturale consente loro una ricchezza unica della vita esteriore quanto interiore, poiché non solo possono giovare di una costante attività fisica ma, grazie alla varietà dei siti che esplorano, la loro immaginazione risulta sempre vivida, al pari dei fanciulli. Il dono del volo conferisce alla loro prospettiva una visione dall’alto, ampia e profonda ma al tempo stesso libera. Libere, giocose e fervide d’immaginazione, vogliamo che siano le nostre parole, alate come gli uccelli di Amelio. Ma liberi, giocosi e fervidi d’immaginazione, compiendo una metamorfosi degna di Filomela e Procne, vogliamo essere anche noi che, in questa particolare tappa delle nostre vite ci ritroviamo ad essere un po’ tutti migranti, da un paese a un altro e da una condizione, quella di studenti, a un’altra, ancora incognita e inesplorata. Eppure, proprio nella scrittura e nella lettura di Leopardi ritroviamo le nostre ali e le nostre radici, riscoprendo perfino nei viaggi più remoti e nei momenti più inaspettati, tracce ad altri invisibili di lui e di noi.

Il Folletto