martedì 28 febbraio 2017

La posta di Giacomo #3 : 5 lettere sul Carnevale 1823

A CARLO LEOPARDI - RECANATI. Roma 10 Gennaio [1823].



Caro Carlo. Ho ricevuto la tua dei 6. Ma l'altra di cui mi parli, è perduta da vero. Io sono sempre colla mia piaga a un dito del piede, e sempre in casa, perchè non mi posso muovere. Ma quest'altra settimana, che probabilmente avrò sbrigato alcune cose che ho da fare in gran fretta, son risoluto di mettermi in letto a giornata, e così spero in quattro o cinque giorni di guarire. Ti saluta Donna Marianna che si fa sempre più schifosa. Ti scrissi già coll'ordinario passato, e ti parlai delle nostre Operà e d'altre bagattelle. Saluta tutti, e dì al Papà che gli scriverò quest'altro ordinario. Dalla sua vedo ch'è stata ritardata una mia che gli scrissi, e ch'egli ai 6 non aveva ancora ricevuta. Dì anche a Pietruccio che non mi scordo di lui, ma che in verità finora, non potendo uscire, non s'è potuto far niente. Mons. Mai mi ha mandato in dono una copia della Repubblica, cosa ch'è stata molto ammirata e invidiata, perchè Mons. non è solito a far questi regali, e parecchi, per averne, l'hanno tentato e lusingato inutilmente. Addio. Amami, e goditi cotesto nevoso Carnevale. Sappiamo già delle Mazzagalli al teatro ec. ec.


A MONALDO LEOPARDI - RECANATI. Roma 24 del 1823.



Carissimo Signor Padre. Ricevo la sua graziosissima dei 20. Come scrissi già coll'ordinario passato, i miei geloni, grazie a Dio ed alla mia pazienza, son guariti. Ieri tornai ad uscire per la prima volta dopo 13 giorni. Oggi piove, come ha fatto per tutta quanta la settimana passata, e se dura così, il Carnevale vorrà esser magro, e si dovranno mangiare in casa i Confetti ch'Ella così gentilmente mi regala. Farò valere la pagella nel miglior modo possibile. Del Cav. Marini, dopo la morte di sua moglie, corse qui in Roma quella voce di cui Ella mi domanda. Ma egli se ne ride, e invece della prelatura, è verisimile che prenda un'altra moglie. D. Luigi Santacroce era l'altra sera al teatro, e non so ch'abbia avuto alcun male. Tornano i discorsi di guerra, ma non so con quanto fondamento. La promozione è stata prorogata fino a Quaresima. La prego a incaricarsi de' miei saluti, e baciandole amorosamente la mano mi confermo Suo affezionatissimo figlio Giacomo.

A MONALDO LEOPARDI - RECANATI. Roma 30 Gennaio 1823.



Amatissimo signor Padre. Sono due ordinarii che io non ho lettere da casa, bench'io non abbia mai lasciato di scrivere. Da parecchi giorni il freddo è cessato, anzi abbiamo una specie di primavera. Io, grazie al cielo, sono guarito perfettamente da' geloni e sto benissimo. Siamo tutti in gran movimento per il Carnevale incominciato oggi, e prevedo che in questi giorni non si potrà far nulla. Domani avremo i famosi funerali di Canova a SS. Apostoli, e l'ingresso a questa funzione è molto ricercato, come sono qui tutte le corbellerie. Saluti di tutti, e in particolare del zio Carlo. Le bacio la mano, e col solito invariabile affetto mi ripeto il suo amorosissimo figlio Giacomo.

A CARLO LEOPARDI - RECANATI. Roma 5 Febbraio [1823].



Caro Carlo. Dal tuono della tua lettera mi par di vedere che tu sei più allegro del solito, e non mi parrebbe inverisimile che tu ne fossi debitore ai colloqui avuti colla bella virtuosa, e a quei sentimenti che tu provi per lei, i quali credo che rassomiglino all'amore. Te ne felicito con tutta l'anima, e prendo parte ai tuoi sentimenti così da lontano, come ho preso parte ai geloni dell'aimable chanteuse; ma quanto al letto, tocca a te solo di prenderne parte, se puoi, come non credo. Ti ringrazio de' tuoi sonetti, a proposito de' quali mi viene quasi un sospetto che tu vogli divenire un altro Alfieri, colla differenza che questi si pose a studiare e comporre per la prima volta in età maggiore della tua, e tu in età minore non incominceresti gli studi, ma li riprenderesti, o piuttosto li continueresti. Certo è che i tuoi versi hanno moltissimo dell'Alfieresco, senza che tu forse te ne avvegga; e la cagione che t'indurrebbe alla poesia, sarebbe quella stessa d'Alfieri, cioè l'amore o una cosa di questa specie. Puoi credere, Carlo mio, quanto volentieri io farei qualunque cosa per te, cioè per me, giacchè tu ed io siamo stati e saremo sempre una stessa persona ipostatica, e non c'è bisogno di ripeterlo. Che Marini abbia una certa influenza sugli impieghi relativi ai catasti, è vero. Che ne sia padrone, non è vero, ma sono i soliti sogni e chimere di Zio Carlo, come ti scrissi. Io ho con lui una certa amicizia, ma di quelle amicizie fredde che si possono avere con persone occupate, che vedono un'infinità di gente ogni giorno, che hanno fatto fortuna a forza di travaglio, e con ciò si sono abituate all'egoismo, cioè al travagliare per se sole, giacchè se avessero travagliato per altri, non avrebbero fatto fortuna. In ogni modo è un uomo molto cortese; ci sarebbe forse anche il suo verso di prenderlo e d'affezionarselo, e se io ne potrò profittare per te, non potrò mancare di farlo. Mi congratulo con te dell'impressioni e delle lagrime che t'ha cagionato la musica di Rossini, ma tu hai torto di credere che a noi non tocchi niente di simile. Abbiamo in Argentina la Donna del Lago, la qual musica eseguita da voci sorprendenti è una cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso, giacchè m'avvedo pure di non averlo perduto affatto. Bensì è intollerabile e mortale la lunghezza dello spettacolo, che dura sei ore, e qui non s'usa d'uscire del palco proprio. Pare che questi fottuti Romani che si son fatti e palazzi e strade e chiese e piazze sulla misura delle abitazioni de' giganti, vogliano anche farsi i divertimenti a proporzione, cioè giganteschi, quasi che la natura umana, per coglionesca che sia, possa reggere e sia capace di maggior divertimento che fino a un certo segno. Non ti parlerò dello spettacolo del corso, che veramente è bello e degno d'esser veduto (intendo il corso di Carnevale); nè dell'impressione che m'ha prodotto il ballo veduto colla lorgnette. Ti dico in genere che una donna nè col canto nè con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo: il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana. Tu hai veduto di questi balli da festino, ma non hanno che far niente nè anche con quelli degli ultimi ballerini d'una pezza da teatro. Il waltz che questi talora eseguiscono, passa per un'inezia e una riempitura. In somma credimi che se tu vedessi una di queste ballerine in azione, ho tanto concetto dei tuoi propositi anterotici, che ti darei per cotto al primo momento. E prima e dopo della tua lettera ho lasciato sfuggire non poche di quelle inavvertenze e imprudenze che tu mi perdoni. Per servirti ho anche raccontato in tavola le prodezze della bella. La cattiva era molto attenta, come suole. Non credere ch'ella abbia molte distrazioni: almeno per me le distrazioni ch'ella ha sarebbero molto poco. Sta' poi sicuro che non ti fabbrica diademi, perch'ella è veramente del sistema de' miei ospiti: uscire, vedere e tornare a casa: vita porca, della quale vorrebbero a parte anche me; s'io fossi uno stivale più largo e più lungo dell'Italia. Tornati a casa con più noia di quando sono usciti, se ne vendicano collo strapazzarsi a vicenda, e con cento bellissime allegrie che sono una consolazione a trovarcisi presente, come mi tocca: ma ci ho fatto l'osso più duro d'un marmo. Giordani, il quale mi scrive, dopo un anno e più di silenzio, con grandissimo entusiasmo, mi domanda con infinita premura di te e di Paolina e vi saluta. Ti saluto anch'io e t'abbraccio di cuore. Non mi dir più che m'abbia cura, perchè son guarito e sano come un pesce in grazia dell'aver fatto a modo mio, cioè non aver usato un cazzo di medicamenti, come volevano a ogni patto, ed essere stato in letto quanto m'è parso bene, che non la volevano in corpo. Addio, addio, ch'è ora di pranzo, e andremo a sentirne delle belle, secondo il solito.

A CARLO LEOPARDI - RECANATI. Roma, la sera di Carnevale [11 Febbraio 1823].



Caro Carlo mio. Ti scrivo per salutarti, e dirti che sto bene e ti voglio bene come sempre. Sono assordato dal maledetto strepito del Carnevale, di cui non ti parlo, perchè te lo puoi figurare. Spettacoli e poi spettacoli non sono mancati, non mancano e non mancheranno fino a sei ore e mezza. Poi il diavolo se li porterà in anima e in corpo, come tu sai. Domani farò il comodo mio: son dieci giorni che fo quello degli altri, e che ne debbo restare obbligato. Ti manderò fra poco le bagattellissime che ho stampate qui e pubblicate da qualche giorno. Salutami tutti. Nell'ultima mia mi scordai di soddisfare a una tua domanda. Mi chiedevi della salute di Marietta, la quale sta bene, e non ha mai più sofferto nè di convulsioni nè d'altro come tu temevi. Quanto alla robustezza, mi par che sia robustissima. Quanto alla floridezza, non è gran cosa; ma s'io mi ricordo bene, il suo colorito è stato sempre così. Voglimi bene, ancorchè non è necessario il pregartene, ma questa clausola serve a conchiuder la lettera. Giorni sono fui a pranzo da monsignor Mai, dove a me e ad altri ch'erano presenti successe uno di quei casi curiosi che danno sempre da discorrere a una città che non fa nulla, com'è accaduto in questa circostanza. Te lo racconterò a voce, sarebbe troppo lungo a scriverlo. Addio: ti do tanti baci, e ti ricordo il tuo antico Buccio.